Il Pensiero di De Vito

Un messaggio Forte ed Inascoltato.

Salverino  De Vito, quando fu nominato Ministro, nel 1983,  non era certamente un personaggio noto, e non faceva niente per diventarlo. Nutriva una certa insofferenza per l’establishment dei meridionalisti “ufficiali” ed era largamente ricambiato.

Diligente, presente ed incisivo nella sua lunghissima attività parlamentare, da senatore, era diventato un punto di riferimento nella Commissione bilancio del Senato in cui fu impegnato per oltre un decennio e di cui nel 1979 diventò presidente.

Volendo riassumere in estrema sintesi  i tratti caratteristici del suo pensiero e della sua azione vanno richiamate: una passione indomabile per la politica, un’ossessiva e spesso angosciata preoccupazione per il futuro dei giovani e una sorprendente capacità di innovazione.

Per quest’ultimo aspetto basta ricordare la forte carica innovativa della legge 44/86 sull’imprenditorialità giovanile, la legge che per qualche anno portò il suo nome: la strategia dell’intervento; la decisiva rottura con le precedenti esperienze di sostegno all’occupazione giovanile, prevalentemente scivolate sul terreno assistenziale, un meccanismo discrezionale (non arbitrario!) di valutazione dei business plan, particolarmente complesso perché riferito a nuove imprese; la “copertura” politica ad un meccanismo che respingeva otto domande su dieci senza bandi e senza graduatorie; l’obbligatorietà per i soggetti beneficiari delle agevolazioni, dei servizi di assistenza allo start-up (il tutoraggio, termine ormai entrato nel linguaggio comune, fu introdotto su larga scala dalla legge 44); la presentazione delle domande alle Camere di Commercio e l’erogazione delle agevolazioni da parte della Cassa depositi e prestiti, saltando le banche che non sarebbero state in grado di erogare senza garanzie reali; le garanzie per i prestiti acquisite sui beni agevolati; l’assoluta autonomia della struttura di gestione; l’autonomia anche operativa con le funzioni di istruttoria non appaltate nonostante “autorevoli” suggerimenti in senso contrario; il ricorso a strutture di monitoraggio professionali; le relazioni periodiche al Parlamento (la prima già nel 1988!), e così via. Tutte innovazioni introdotte da lui. Ed anche il titolo della legge, fortemente voluto da lui, segna questa forte volontà di innovazione, quasi di discontinuità: oggi sembra scontato, ma nel 1985 fu davvero provocatorio il titolo “Misure straordinarie per la imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno”.

De Vito arrivò al ministero in un momento di precarietà del quadro normativo e finanziario dell’intervento straordinario. In attesa di un provvedimento organico e di lungo respiro (almeno temporale) che sarebbe arrivato il 1° marzo del 1986 con la legge 64, furono approvati due provvedimenti che assicuravano continuità e copertura finanziaria all’intervento straordinario (la legge 651/83 e la 775/84).

Nel primo, De Vito, da pochi mesi ministro, introdusse la previsione del Programma triennale di intervento. Un programma da aggiornare e far “scorrere” anno dopo anno , che aveva da una parte l’ambizione di riposizionare correttamente la politica per il Sud nel quadro della programmazione ordinaria e, dall’altra parte, soprattutto, l’obiettivo di superare, attraverso un lavoro di coordinamento attivo con le Regioni, una prassi centralistica nelle scelte di intervento.

Approvato dal CIPE il 10 luglio 1985, il Programma era articolato in azioni organiche, in interventi cioè che intrecciavano le diverse misure di sostegno su obiettivi trasversali, tentando di superare la frammentarietà e la disarticolazione degli interventi stessi.

Un ruolo centrale era disegnato per le Regioni: esse avrebbero dovuto declinare la loro natura di enti di programmazione, diventando “soggetti di domanda”, sia predisponendo “progetti regionali di sviluppo” sia valutando la coerenza rispetto alla programmazione regionale, dei progetti predisposti dagli altri soggetti, istituzionali e non, operanti nel territorio della regione.

Ovviamente, la stessa lettura del testo del Programma testimonia dell’estrema difficoltà di questo disegno che tentava di innescare una procedura di programmazione e di coordinamento in una situazione in cui già molti progetti erano approvati, molte opere avviate, molti impegni assunti.

La linea politica era chiara e nell’introduzione del ministro alla pubblicazione del Programma si legge:

Questo programma, la cui principale innovazione è costituita dal coinvolgimento diretto delle Regioni, sul piano sostanziale delle proposte, non su quello burocratico-formale dei pareri, tende a spostare in avanti la discussione, spesso fortemente polarizzata, tra quanti ritengono che si debba ragionare di Mezzogiorno nel solco della tradizionale impostazione meridionalistica (dall’unità concettuale della questione alla unità operativa dell’apparato di intervento) e quanti, al contrario, ritengono che la realtà economica e sociale delle regioni meridionali è ormai diversificata ed impone un rinnovamento radicale dell’approccio concettuale ed operativo dell’intervento finalizzato allo sviluppo del Sud, sfruttando le dinamiche ed i soggetti  nuovi che via via vanno emergendo […]. Il filo che unisce le opzioni sopra indicate è quello di convincere i meridionali, popolo ed istituzioni, che essi sono sostenuti dalla loro forza di spinta e di responsabilità e non sono calate dall’alto, magari senza confronto e senza dialogo. La efficacia de Programma dipende certamente anche dalla definizione dell’impianto legislativo dell’intervento straordinario, ma dipende soprattutto dalla capacità dei soggetti meridionali di rispondere alla sfida che i tempi impongo a Mezzogiorno; alla miriade di soggetti pubblici e privati, alle istituzioni, alle forze politiche e sociali, spetta raccogliere questa sfida in un ritrovato gusto di protagonismo e nella volontà di un definitivo superamento dell’antica dipendenza.

Ma la sfida di De Vito non fu raccolta e l’innovazione immaginata, più che realizzata, con il Programma triennale, non ebbe sostanzialmente seguito.

Perché la logica del Programma triennale non passò?

Intanto perché portare ad effettivo coordinamento un intervento straordinario articolato e disperso in una pluralità di interventi, di procedure, di interessi era oggettivamente molto complesso e richiedeva anche molto tempo in progressivi aggiustamenti.

Ma soprattutto non vi fu di quell’ipotesi una condivisione di natura politica: una discontinuità così pronunciata non poteva essere frutto dell’iniziativa  convinta  e coraggiosa di un ministro, ma di una scelta politica propriamente detta. Quella scelta politica non vi fu. Se ci fosse stata, se l’intuizione di De Vito avesse “contaminato” le strategie meridionalistiche, oggi avremmo raccolto risultati diversi nel faticoso e spesso contraddittorio percorso dell’iniziativa per i Sud.

 

Articoli Correlati

La Fondazione Senatore Salverino De Vito ha l’obiettivo di tenere vivo, e declinare nel tempo, il pensiero...